Oskar Alegria. Giornalista di formazione, scrive articoli di viaggi nel supplemento El Viajero di El País ed è autore di un progetto di fotografia artistica chiamato “Las ciudades visibles”, sostenuto dallo scrittore Enrique Vila-Matas. Docente di sceneggiatura documentaristica al Master in Sceneggiatura Audiovisiva dell’Università di Navarra, nel 2013 è stato nominato direttore artistico del Punto de Vista International Documentary Film Festival di Navarra. Il suo primo lungometraggio, Emak Bakia, è stato proiettato in 70 festivals internazionali ed ha vinto 15 premi. Zumiriki, il secondo film lungo del regista nato a Pamplona, presentato in anteprima a Orizzonti nella Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del Gran Premio Flight alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Genova, è stato selezionato come miglior film tra i 60 partecipanti. Il film racconta l’esperienza di quattro mesi di isolamento in una capanna fatta di tronchi nella foresta dell’infanzia dell’autore, con un’isola sommersa nel fiume dalla costruzione di una diga come centro della storia.
1- Lei è senza dubbio un uomo particolare: una capanna, un’orto, due polli e 70 libri…elementi del suo pluripremiato film “Zumiriki” (che significa “un’isola nel fiume”) e che parla del rapporto tra l’uomo e la natura. Meno è meglio?
Non ho le idee così chiare e in questo progetto ho pensato spesso a questa massima ormai quasi biblica. Soprattutto per la quantità di cose che ti possono accadere e che puoi sentire e riflettere su quei quattro mesi isolati dal mondo solo con i tuoi ricordi. L’attesa, l’inazione, il nulla, il naufragio, il tempo, la notte, lo sguardo degli animali, il fiume, il ricordo, i pioppi sommersi nell’acqua… Come fare in modo che tutto ciò si inquadri in qualche modo in un film che lo riassume e cerca di trasmetterlo. Credo che molte volte si arrivi a quel “meno é meglio” commettendo l’errore di semplificare, che è una tendenza per non dire un male moderno. Presto vedremo che ” puntare su qualcosa di più” andrà controcorrente. Mi piace pensare a come sarebbero stati Miguel Ángel o Cervantes prima della loro Cappella Sistina o del loro Chisciotte, se avessero avuto lo stesso dubbio, levando una scena, eliminando qualche capitolo… si gradisce che non l’abbiano fatto. In entrambi i casi “di più era sempre di più”.
Un’altra domanda difficile. Mmmm… Penso che non ci sia casualità in nulla. O in poche cose. L’azzardo è oggettivo, come dicevano i surrealisti e quindi può essere misurato, prevedibile o orientato. Lo stesso Man Ray parlava di “improvvisazione orchestrata”… Se è orchestrata non è più improvvisazione e viceversa. Forse l’unica cosa che esiste è questo, il paradosso, come il grande motore di tutto. Questo, senza diventare troppo filosofico, può essere visto nella stessa terra. Mio padre (torno da lui) me lo spiegava sempre con una bella immagine: le migliori coppie di buoi sono armate dagli opposti. Il bue nobile con il bue nobile non funziona, in cambio con il bue tranquillo con il bue nervoso si di modo che il giogo dei buoi andrà quasi da solo.
7- Roma, l’Italia ha una grande tradizione che persiste ancora nell’industria cinematografica, anche se i suoi lungometraggi sono lontani dagli schemi italiani, l’ispirazione dei nostri antenati anche se è storica sono sicura che esista. Dato che le sue opere sono sempre molto intime, sarebbe attratto dall’idea di girare o ambientare qui un lungometraggio? Per parlare non solo con la Grande Bellezza, ma con la natura di questo paese così ricco di sfumature come lo è la Spagna.
Ho lavorato come giornalista di viaggi per El Viajero di El País e ho avuto la fortuna di visitare il sud- sud. Lo dico due volte perché credo che non esista in Europa un Paese in cui il contrasto geografico sia così splendidamente distanziato come nel caso italiano. Ricordo in particolare una visita alle terre dove Carlo Levi è stato confinato, i luoghi dove ha concepito il suo meraviglioso “Cristo si è fermato a Eboli”. La vecchia Lucania, oggi regione di Basilicata è una terra con maiuscole, un polmone di autenticità dove le riprese di un film sarebbero facilmente cariche di quelle intimità e di quelle dei vostri antenati che lei cita. Compaiono per la strada senza doverli cercare. Come il grande Alfredo Colombaioni che è presente e compare in entrambi i miei film come un talismano felliniano.
Di nuovo, i confini, come quello di Carlo Levi, politicamente costretto dal fascismo a questo esilio interiore, un esilio che gli esseri umani sanno sfruttare al meglio e il rapporto stretto con la creazione, credo, si attiva il doppio o il triplo in questi tempi di reclusione. Basta guardare i quadri che Carlo Levi stesso ha dipinto in quei luoghi. Il pennello va da solo, senza sforzo. Non dimentichiamoci di un Cervantes in prigione per dare alla luce più tardi il meglio del suo lavoro. È curioso, ma sì tutti noi approfittiamo di questi tempi di ansia per raddrizzare la nave di nuovo? il paradosso. La bellezza sarà convulsa o no? Chi lo sà…